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Parla l’architetto Stefano Boeri, nuovo presidente della Triennale.

Stefano Boeri, milanese, classe 1956, architetto e figlio di Cini Boeri. Professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano e guest professor all’Harvard Graduate School of Design di Cambridge. Assessore alla Cultura per il Comune di Milano dal 2011 al 2013, dal 2015 fa parte del comitato scientifico della Galleria degli Uffizi di Firenze. Membro della Consulta Architettonica che ha ideato il concept plan di Expo 2015, Boeri ha progettato il Bosco Verticale, primo prototipo di edificio residenziale sostenibile con facciate ricoperte di alberi e piante, che ha ricevuto nel 2015 il Best Tall Building Worldwide come più bel grattacielo del mondo. Lo scorso gennaio è stato nominato all’unanimità presidente della Triennale di Milano, succedendo a Claudio De Albertis.




Partiamo da un tema di grande interesse: le periferie e le aree dismesse. Che ruolo dovrebbe avere l’architetto progettista nel miglioramento del tessuto urbano e nella riqualificazione di intere zone cittadine, come nel caso dei 7 scali di Milano?
Io credo che sia un tema importante quello di rigenerare o riutilizzare parti di città parzialmente abbandonate o dimenticate, come nel caso degli scali merci, degli ortomercati, delle carceri, di intere parti di grandi strutture di servizio alla città che, realizzate agli inizi del ‘900, ora hanno perso la loro funzione. Spesso localizzate in aree periferiche, complice la crescita urbana, sono state inglobate all’interno della città. Gli scali merci di Milano si trovavano nel perimetro esterno cittadino, oltre la “linea del ferro” che vi correva tutto attorno, perché il loro scopo era servire le aree industriali poi abbandonate. Un sistema di 7 scali merci che mettono a disposizione oltre 1.300.000 m2 sono quindi una scommessa formidabile per una città che si trova a disposizione aree dismesse non nella periferia più esterna, ma vicine al centro. Basti pensare allo scalo di Porta Romana o allo scalo Farini vicino a Porta Nuova. Il progetto sugli scali merci ipotizza anche la realizzazione di un grande parco verde che sicuramente migliorerà in modo drastico e molto efficiente la qualità dell’aria. Questa sarebbe una grande sfida per il futuro.



Quando si pensa al verde lo si collega alle zone privilegiate delle città, mentre le zone periferiche vengono lasciate ai margini. Cosa è necessario per cambiare questo stato di fatto?
In realtà Milano è una città che ha tanti parchi, anzi forse sarebbe meglio parlare di giardini. Collegandoci alla domanda precedente, proprio alcune di quelle aree oramai dismesse potrebbero e dovrebbero riuscire ad aumentare sensibilmente gli spazi verdi anche nelle zone periferiche. Ad esempio, alla Bovisa la zona dei gasometri ora dismessa potrebbe divenire un grande parco per un nuovo quartiere, come quello che sta nascendo attorno al Politecnico. In un certo senso potremmo fare lo stesso discorso anche per il quartiere post Expo o per altre aree abbandonate in diverse zone della città. Non c’è dubbio che il nostro obiettivo deve essere quello di poter lavorare sia sul verde che sta nel cuore della città, come ad esempio il parco Sempione, i giardini pubblici o il nuovo parco di Porta Nuova, sia su un sistema di parchi già esistenti e meno centrali come il parco Lambro, il parco Nord o quello di Trenno, e infine riuscire a intervenire sul recupero a verde di aree dismesse come nel caso degli scali merci.



Durante l’incontro “Gli alberi nel cielo e il futuro delle città - Dialogo con Stefano Boeri”, tenutosi il 28 gennaio 2016 presso il Senato, lei ha affermato che l’Italia conta oltre 4 milioni di edifici che dovrebbero essere abbattuti e ricostruiti secondo i nuovi criteri di sostenibilità ed estetica. Una presa di posizione molto chiara. È ancora di questa idea?
Ancora di più sono di questa idea! Un’idea che non si basa su dati miei, ma forniti da Ance, dati approssimativi, ma che ben descrivono la situazione. Noi dovremmo pensare a una grande politica di sostituzione del patrimonio edilizio. Questo obiettivo sarebbe tra l’altro una modalità di utilizzare l’edilizia come un grande volàno per diversi settori economici del nostro Paese. Sto pensando alle piccole e medie imprese nel campo delle costruzioni, al mondo dei servizi e sottoservizi, ai produttori di arredi, a tutta la parte tecnica, alla creatività e a molto altro ancora. Un investimento che darebbe risultati enormi.

 

Il tema della sostenibilità ambientale e sociale delle città è molto sentito. A che punto siamo in Italia e, in particolare, a Milano, la città in cui vive e dove ha svolto l’attività di Assessore alla Cultura?
Questo tema è sentito a momenti, soprattutto quando la qualità dell’aria è percepita come pessima e andiamo in emergenza. Credo che l’operazione su cui il sindaco ha iniziato a lavorare, quella sulla forestazione urbana, vada nella direzione giusta. Bisogna davvero impegnarsi affinchè il numero di alberi, piante e in generale degli spazi verdi a Milano raddoppi. Personalmente penso che dai cittadini il tema del verde sia molto sentito, forse un po’ meno dalla politica. Mi piacerebbe proporre, oltre alla rigenerazione di 4 milioni di edifici, anche la creazione di un ministero della rigenerazione del legno e dei boschi. I boschi sono un elemento formidabile per la salute della città e della riqualificazione urbana in generale: la aiutano e di conseguenza ci aiutano a respirare meglio. I boschi sono anche un elemento produttivo che troviamo in tantissime regioni italiane e potrebbero essere curati e utilizzati all’interno di un’economia circolare potenziale per l’edilizia e gli arredi, che per ora non utilizziamo ancora al suo meglio.

 

Da poco lei è stato nominato presidente della Triennale. In un’intervista ha parlato della Triennale come uno dei nodi di un Parco delle Culture, insieme al Piccolo Teatro e all’Arena, di grandi Expo triennali e di mostre quotidiane e sempre aperte, notte e giorno. Ha già individuato alcuni temi ed eventi per la Triennale?
Ci stiamo lavorando, ma vorrei citarne almeno uno. Abbiamo infatti la fortuna di avere un storico Parco delle Culture che è circondato dalle istituzioni più importanti di Milano: il Piccolo Teatro, il Castello Sforzesco, il Teatro dal Verme, l’Arena Civica, la Triennale e altre. L’auspicio che faccio come istituzione è che sarebbe bello mettersi attorno a un tavolo per coordinare un programma di eventi estivi e immaginare che in luglio e agosto con un unico biglietto si possa partecipare in giro per la città a un sistema di eventi differenziato. Avremmo creato una bella estate milanese, da inserire anche in un tour turistico.

 

Un tema che in questi ultimi mesi ha tenuto banco tra critici, politici e architetti: il Museo del Design. Secondo lei è necessario scegliere una destinazione diversa da quella della Triennale?
Direi proprio di no e la Triennale è il luogo giusto per ospitare un Museo del Design. Va benissimo che la Triennale, come è stato fatto recentemente nella Villa Reale a Monza, metta in mostra le sue esposizioni o possa coordinarsi con altre associazioni come quella del Compasso d’Oro. Ma il cuore del design milanese è la Triennale e non vedo il bisogno di spostarlo in altri edifici. Invece c’è la necessità di reperire più spazi e uno dei progetti sarà proprio quello di cercare nuove aree espositive, ma sempre all’interno della Triennale e non al di fuori di essa.

 

Una curiosità: ha rifiutato l’etichetta di archistar, ma ha detto di essere un “archistreet”. È ancora così?
Certo. Lo dicevo scherzando perché un architetto deve ammirare le stelle, ma deve anche guardare bene dove mette i piedi. Mi piace molto quando mi occupo di un progetto, capire al meglio i problemi e mi piace molto parlare con chi quel progetto lo dovrà promuovere, costruire e abitare, L’architettura, pur guardando in alto, non deve mai perdere il contatto con quello che succede sul terreno, nell’immediata vicinanza, nelle aspettative e nei comportamenti.

 

Lei ora è presidente della Triennale, ma per anni è stato un uomo politico, un architetto, un urbanista, un professore. Cosa le piace di più?
Io sono un architetto. Quando ho diretto una rivista, quando ho fatto politica, quando ho insegnato, quando faccio il presidente di una istituzione l’ho fatto sempre da architetto. In fondo l’architettura vuol dire anticipare gli spazi della vita ed è sempre quello che ho tentato di fare. Malgrado la mia attività possa sembrare eclettica, mi sento un architetto e ho sempre voluto fare tutte queste attività rimanendo un architetto e anticipando il futuro. Alla fine io faccio una cosa sola, l’architetto, e passo le giornate immaginando il futuro e pensando al miglior modo di realizzarlo.

 

 

 

 

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