Intervistato
Paolo Asti
Studio Asti Architetti
La Torre Velasca, un'iconica struttura situata a Milano, ha subito un progetto di restauro significativo. Questo progetto ha coinvolto diverse aree, compresi gli interni dell'edificio e lo spazio esterno circostante. Il progetto di restauro non solo ha preservato l'identità storica dell'edificio, ma ha anche cercato di integrare la struttura con il contesto urbano circostante, offrendo una prospettiva moderna e sostenibile per questa iconica struttura milanese.

Quando è stata costruita, la torre Velasca era uno dei pochi edifici alti della città. Oggi lo skyline di Milano è molto diverso: come dialogano tra loro i vecchi e i nuovi grattacieli?

La Torre Velasca opera dei BBPR, pur essendo inizialmente stata percepita con pareri contrastanti sia dalla critica sia dal pubblico, rappresenta parte indissolubile e integrante del panorama urbano milanese. Il progetto è caratterizzato dalla sua immagine d’insieme, dall’intera organizzazione del pensiero progettuale, dall’identificazione delle funzioni ricercate in relazione alle esigenze della committenza, alla definizione del complesso edilizio, alle tipologie e ai caratteri architettonici delle unità interne di uffici e abitazioni. Questa mixité, ovvero la compresenza di destinazioni d’uso differenti, è uno dei caratteri ricercati anche dai nuovi grattacieli milanesi. La Torre Velasca capovolge i canoni architettonici e strutturali di un grattacielo, allargandosi nello skyline milanese come un fungo invece che rastremarsi una volta superata la quota dei tetti della città. Lo sforzo progettuale dei BBPR mirava al soddisfacimento della relazione forma-funzione, unito all’intento di rispettare le qualità del contesto urbano d’inserimento, esprimendo una modernità ricercata nel solco della storia. Questa consapevolezza forse manca in alcuni nuovi grattaceli milanesi che guardano troppo a modelli internazionali e meno al contesto. 

Quali sono state le linee guida del suo progetto di restauro?

Dal 1958, anno di costruzione, Torre Velasca non era mai stata oggetto di opere di risanamento, manutenzione e riqualificazione. Con l’ingresso nel 2020 di Hines in qualità di investitore e development manager, è stato avviato il progetto di recupero concepito, non per “musealizzare” il progetto dei BBPR della Torre, ma per riportarlo alla nostra contemporaneità come un grattacielo ancora vivo in dialogo con Milano, anche attraverso nuovi spazi fruibili ai cittadini.
Gli elementi linguistici originari della Velasca hanno permesso di proiettare al futuro un progetto pensato negli anni ‘50 già votato alla flessibilità e quindi alla trasformazione della propria vita nel tempo.
Gli agenti atmosferici degli ultimi 70 anni hanno tuttavia duramente rovinato la facciata dell’edificio che ormai aveva perso i colori originali, caratterizzati da un rosa cangiante in grado di variare a seconda della luce nelle diverse ore del giorno. Per riuscire a restituire la tonalità autentica che dominava lo skyline milanese alla fine degli anni 50, il team di lavoro ha condotto analisi scientifiche materiche sull’intonaco, studi sul campo, ricerche storiche documentali per recuperare le testimonianze del tempo, oltre a ripristinare alcuni elementi originali che hanno conservato la tinta originale. 
L’intonaco individuato è stato successivamente studiato con Mapei al fine di creare un legante ad hoc, che prende proprio il nome di legante Velasca, in grado di resistere alle intemperie ad alta quota senza impattare però sul colore finale. Il mix design, concordato con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano, è stato realizzato con il legante intonaco Velasca Mapei nella percentuale del 30% e gli inerti: rosso Verona, rosso corallo, nero ebano, bianco botticino per il restante 70%; inerti con granulometrie comprese fra 0-6 mm.
Il lavoro di restauro non è stato unicamente di natura estetica ma anche strutturale e ha comportato trattamenti specifici per potenziare la struttura, costruendo una rete elettrosaldata che assicura la Torre da rischi di cedimento. Inoltre, il progetto è stato sviluppato in linea con i più elevati standard di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica, con l’obiettivo di ottenere la certificazione internazionale LEED Gold.

Con quali criteri avete ripensato gli interni?

L’atrio sarà recuperato nel disegno originario, bellissimo, si è mantenuto molto bene. Al contrario gli interni, gli uffici e gli appartamenti erano meno attrattivi. In generale è stato recuperato il linguaggio degli anni ‘50 con il grande sforzo di riprodurre con le stesse tecniche di allora i materiali di rivestimento originario: materiali ceramici, cotti a mano, legni e anche il linoleum. Il linguaggio architettonico degli interni Torre era volutamente scevro da decori. E questa immagine contrasta con la nostra idea degli anni ‘50 degli ottoni dei legni lavorati, della ricchezza degli interni, perché la Torre - pur essendo degli anni ’50 - non coincide con quel genere di architettura d’interni.

Anche la piazza è in fase di riqualificazione: come si immagina la nuova vita di questo edificio?

Al piede della Torre stiamo cercando di dare o ridare alla città uno spazio che non è mai stato percepito come spazio integrante né della città né della Torre. Lo spazio antistante alla Velasca è sempre stato un crocicchio con una identificazione non di piazza, non di parcheggio e non di strada. Lo sforzo progettuale è stato quello di identificare il ruolo della piazza vera e propria e nello stesso tempo di “sagrato laico” alla Torre stessa. Abbiamo pensato a una ricucitura urbana tra la città e la Torre: piazza Velasca diventerà un filtro tra pubblico e privato, ma anche un elemento urbano di enfatizzazione del monumento che si affaccia su questo spazio. Vorremmo che diventasse un punto di “sospensione” rispetto all’accelerazione della città, in cui fermarsi, guardare la Torre, beneficiare dei servizi e della presenza di verde. Nella piazza è stato volutamente inserito poco arredo urbano per una scelta precisa: abbiamo preferito che l’arredo vero e proprio fosse la presenza di verde abbinato all’illuminazione che creerà delle zone che verranno vissute come zone di sosta. La nostra intenzione è stata quella di introdurre arredi urbani minimali che fossero legati al concetto della pavimentazione che si alza diventando seduta.  
Intervistato
Paolo Asti
Studio Asti Architetti
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#restauro
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