L'industria del calcestruzzo sta evolvendo verso soluzioni più sostenibili. L'uso di materiali cementizi supplementari, geopolimeri e rinforzi innovativi come il GFRP permette di migliorare le performance strutturali e ridurre l'impronta di carbonio, in linea con gli obiettivi climatici dell'UE per il 2050.

Le normative sul clima impongono all’Unione Europea di ridurre le emissioni di gas effetto serra del 55% entro il 2030 e a tutta l’Unione di diventare climaticamente neutra entro il 2050. Tali obiettivi costituiscono un obbligo giuridico: i Paesi stanno infatti lavorando per conseguirli entro i temini prefissati.
Questa transizione ecologica è anche un’opportunità per rivedere a tutti i livelli il sistema economico e industriale. Per raggiungere questi obiettivi, l’industria delle costruzioni, e in particolare quella del calcestruzzo, deve mutare radicalmente.   
In questo scenario, Cembureau (l’associazione europea dei produttori di cemento), insieme ad American Portland Cement Association e a Global Cement and Concrete Association, ha individuato un percorso affinché l’industria del cemento possa raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L’approccio coinvolge tutte le fasi di produzione, dalla cementeria all’intero ciclo di vita delle opere, secondo i principi dell’economia circolare.
La produzione del calcestruzzo può dare un valido contributo allo sviluppo dell’economia circolare attraverso l’utilizzo di aggregati riciclati (derivanti da attività di costruzione o demolizione) o artificiali (provenienti da scarti industriali) in sostituzione degli aggregati naturali. Il calcestruzzo stesso, inoltre, può essere riciclato e utilizzato per nuove costruzioni. 
Soluzioni di calcestruzzo sostenibile: riduzione delle emissioni di carbonio con aggregati riciclati, geopolimeri e armature in GFRP.

Alternative sostenibili

I vantaggi dell’utilizzo di materiali cementizi supplementari (SCMs) nella produzione del cemento sono ampiamente riconosciuti: ceneri volanti, loppa d’altoforno, calcare, fumo di silice, pozzolane naturali offrono una concreta possibilità di ridurre l’impronta di carbonio del processo di produzione del cemento. 
Nel mondo, l’utilizzo di SCMs ha raggiunto livelli significativi, con picchi del 75%. In Italia, la possibilità di ridurre l'impronta di carbonio del calcestruzzo è ampia, sia per la scarsa diffusione dei cementi di tipo III, IV e V (con ridotto contenuto di cemento Portland), sia per la scarsa diffusione delle aggiunte di SCMs in fase di produzione del calcestruzzo. 
Nel nostro Paese, l’uso di SCMs nella produzione del cemento è regolato dalla norma UNI EN 197-1:2011 che stabilisce la composizione, le specifiche e i criteri di conformità per i comuni cementi. La produzione del calcestruzzo è invece regolata dalle norme UNI EN 206:2021 e UNI 11104:2016.

I geopolimeri

A questi materiali cementizi supplementari si aggiungono i geopolimeri, che offrono promettenti prospettive per pratiche di costruzione sostenibili, grazie al loro impatto ambientale ridotto se comparato a quello del calcestruzzo tradizionale a base di cemento Portland. I geopolimeri, o materiali ad attivazione alcalina, sono materiali derivanti dalla reazione di un precursore, tipicamente loppa macinata (ground granulated blast furnace slag, GGBFS) o ceneri leggere (fly ash, FA), e un attivatore alcalino, tipicamente miscele di soda caustica e silicato di sodio, con acqua. I precursori sono degli aluminosilicati amorfi caratterizzati da idraulicità latente, che diventano reattivi solo in presenza di sostanze fortemente alcaline. 
Le reazioni che portano all’indurimento dei geopolimeri sono più lente di quelle che regolano l’indurimento del cemento Portland. Tuttavia, mentre il cemento Portland raggiunge la sua maturità dopo 28 giorni di stagionatura, i geopolimeri continuano a reagire per tempi più lunghi e la resistenza meccanica cresce anche dopo 60 giorni. 
Anche la loro composizione è diversa; in particolare, la microstruttura dei geopolimeri è molto più densa rispetto a quella della pasta di cemento e ciò conferisce loro un’eccellente resistenza agli agenti aggressivi (solfati, cloruri, acidi) rendendoli particolarmente adatti alla produzione di elementi prefabbricati da utilizzare in aree ad elevato impatto antropico (reti di fognatura, scoline, caditoie di acque industriali e meteoriche urbane).

Ripensare il calcestruzzo rinforzato

Anche la sostituzione dei tradizionali rinforzi di acciaio (che causano considerevoli emissioni di CO2) con materiali innovativi come il calcestruzzo fibrorinforzato (FRC) e i polimeri fibrorinforzati (GFRP) offre una concreta possibilità di ridurre l’impatto ambientale della produzione del calcestruzzo. 
Strutture ibride, che hanno al loro interno sia barre d’acciaio che rinforzi in FRP, sono un esempio di questo nuovo approccio nella progettazione. Si tratta di soluzioni che combinano la resistenza e la duttilità dell’acciaio con la resistenza alla corrosione e la leggerezza caratteristiche dell’FRP. Questa ibridizzazione non solo migliora le performance strutturali ma promuove anche la sostenibilità, perché le strutture hanno un ridotto impatto ambientale. Inoltre, la resistenza alla corrosione dei materiali FRP riduce la necessità di manutenzione e allunga la vita utile delle strutture, aumentando ulteriormente la sostenibilità.

La ricerca

La ricerca, condotta in collaborazione con l’Università di Brescia (in particolare coi professori Giovanni Plizzari e Adriano Reggia) aveva per oggetto le prove industriali effettuate su travi in calcestruzzo rinforzato, con l’obiettivo di testare e sviluppare soluzioni a ridotta impronta carbonica, anche in un’ottica di economia circolare, andando a verificare, su scala reale, la relazione tra sforzo e deformazione.
L’idea era da una parte quella di promuovere soluzioni sostenibili già conformi alle norme tecniche (calcestruzzi green) e dall’altra studiare le opportunità fornite dai nuovi materiali non ancora riconosciuti da tali norme.
Nel dettaglio, le prove sperimentali riguardano travi in calcestruzzo rinforzato che incorporavano soluzioni ibride di rinforzo (acciaio, fibre di vetro GFRP, fibre polimeriche FRC) in un calcestruzzo tradizionale e in un calcestruzzo realizzato con geopolimeri. I test miravano a valutare le performance strutturali, come la rigidità o la capacità portante. 
La ricerca ha inoltre introdotto dei criteri per la valutazione dei materiali e delle performance strutturali basati sulla durabilità e sull’impatto ambientale.
Una ricerca, in collaborazione con l'Università di Brescia e con Crezza S.r.l., ha evidenziato i vantaggi ottenuti con i geopolimeri e le soluzioni ibride di rinforzo

I materiali

Nei test sono stati utilizzati tre tipi di calcestruzzo (realizzati da Crezza S.r.l):

  • ■  un calcestruzzo di riferimento (REF) di tipo tradizionale (calcestruzzo con CEM II per strutture realizzate in opera);
  • ■  un calcestruzzo sostenibile in accordo con i regolamenti italiani (ECO3): calcestruzzo con CEM IV (pozzolanico) con aggregati artificiali;
  • ■ un calcestruzzo innovativo realizzato con geopolimeri (GEO), che costituisce un'importante innovazione tecnologica perché utilizza un attivatore liquido alcalino della loppa (MAPECUBE GEO) al posto dell’idrossido di sodio (o soda caustica), che non comporta rischi per la salute e non necessita “heat curing” per sviluppare la resistenza. Inoltre, diversamente dai tradizionali attivatori, MAPECUBE GEO è compatibile con tutti i superfluidificanti polieteri carbossilati PCE. Con MAPECUBE GEO diventa quindi possibile produrre il calcestruzzo geopolimerico negli stessi impianti e con le stesse modalità del calcestruzzo a base Portland.
Per quanto riguarda i superfluidficanti utilizzati nei test, il calcestruzzo di riferimento e quello di tipo ECO3 sono stati realizzati con DYNAMON NRG 1012, additivo specifico per calcestruzzi prefabbricati. Per il calcestruzzo realizzato con geopolimero è stato usato il superfluidificante DYNAMON CUBE 804, che permette di mantenere buona lavorabilità anche in impasti realizzati con loppa di altoforno.  
I rinforzi utilizzati sono costituiti da tradizionali barre d’acciaio e fibre macrosintetiche (MAPEFIBRE ST42 PLUS).
Dei materiali sono state testate le proprietà meccaniche attraverso test di resistenza a compressione, le performance strutturali e le caratteristiche di durabilità.  
I risultati sperimentali hanno mostrato che le soluzioni ibride di rinforzo migliorano la capacità portante e lo spostamento sotto carichi di servizio, limitando al contempo la riduzione della duttilità rispetto alle tradizionali strutture in calcestruzzo armato. 

Valutazione della sostenibilità

La sostenibilità delle soluzioni è stata valutata tramite l’analisi e la comparazione del ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment), condotto sulle diverse strutture che sono state testate. 
L’analisi ha considerato l’impatto generato dal volume del calcestruzzo (nelle tre tipologie REF, ECO 3 e GEO) e dai rinforzi in esso presenti (acciaio, GFRP e fibre polimeriche) nelle quantità utilizzate per la realizzazione delle travi.
I risultati hanno evidenziato una significativa riduzione delle emissioni di Gas Serra (GWP, Global Warming Potential) usando calcestruzzi geopolimerici con un rinforzo ibrido. Questa soluzione, cui corrisponde un valore di GWP pari a circa 150 kgCO2/m3, permette una significativa riduzione, pari a circa 2 terzi (66%), rispetto al calcestruzzo di riferimento.
Anche restando conformi alle norme italiane e utilizzando il calcestruzzo ECO3 e un rinforzo ibrido, si ottiene una riduzione del 44% nell’indice GWP. In virtù del ridotto valore di GWP, il calcestruzzo geopolimerico risulta quello con il migliore potenziale di sostenibilità, come mostrato nel Grafico 4.
Significativa riduzione (pari al 66%) delle emissioni di Gas Serra grazie all'utilizzo di geopolimeri
Linee di prodotto
Additivi di macinazione (C-ADD)
Additivi per calcestruzzo
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