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autore
Giancarlo Ciotoli
Ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria.
Origine, rischi e prevenzione: ne parliamo con Giancarlo Ciotoli, ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria.

L’uomo vive costantemente “immerso” nelle radiazioni ionizzanti che provengono dallo spazio (raggi cosmici), ma che ci colpiscono anche attraverso il decadimento di elementi radioattivi presenti nelle rocce di cui è composta la Terra. La radioattività naturale è molto più dannosa di quella artificiale: le sorgenti di radioattività naturale costituiscono infatti la principale causa dell’esposizione della popolazione alle radiazioni ionizzanti, di cui sono note le proprietà cancerogene. Il radon (Rn) è una delle principali sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti. È un gas radioattivo di origine naturale che appartiene alla famiglia dei gas nobili; è inodore, incolore e insapore e quindi non percepibile dai nostri sensi, per questo motivo è difficile individuare e quantificare la sua presenza se non con strumentazione specifica e molto sensibile. Proprio per la sua origine naturale e perché costituisce una frazione importante delle radiazioni ionizzanti, la sua pericolosità è spesso sottovalutata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, 2021) ha stimato che il radon è la causa maggiore delle neoplasie polmonari (dal 3 al 14%) in ogni paese, dopo il fumo di sigaretta, e che la sua pericolosità dipende principalmente dal valore medio nazionale di concentrazione di radon nelle abitazioni e dalla sinergia con il fumo di sigaretta.

 

Come si origina?

Il radon è originato dal “decadimento nucleare” del suo diretto genitore, il radio (226Ra), che a sua volta costituisce uno dei prodotti della catena di decadimento radioattivo dell’uranio (238U), elemento diffuso in piccole quantità in tutta la crosta terrestre. L’isotopo del radon più diffuso in natura è il radon-222 (222Rn) che decade in pochi giorni, ossia dimezza la propria concentrazione in 3,82 giorni, emettendo radiazioni ionizzanti di tipo alfa (particelle composte da due protoni e due neutroni) e formando i cosiddetti prodotti di decadimento (figli del radon o progenie) anch'essi radioattivi, quali polonio, piombo e bismuto.

 

Dove si trova e come si diffonde?

L’uranio e il radio sono elementi solidi presenti nelle rocce in quantità molto variabile fin dalla formazione della Terra, e quindi anche nei materiali da costruzione che da queste derivano (cementi, tufi, laterizi, pozzolane, graniti). Anche il radon è ubiquitario sul pianeta Terra, sia pure in concentrazioni molto variabili, ma essendo l’unico elemento gassoso della catena di decadimento, è in grado di uscire dai granuli del suolo, muoversi attraverso i pori del suolo per diffusione e/o migrare lungo zone di frattura per decine/centinaia di metri per avvezione (movimento generato da gradienti di pressione) e, ancor prima di dare origine ai suoi prodotti di decadimento, fuoriuscire dal terreno, dai materiali da costruzione e dall’acqua del sottosuolo e quindi entrare negli edifici.

Una volta liberato dalla roccia e attraversato il terreno, il radon raggiunge la superficie miscelandosi rapidamente con l’atmosfera dove è presente in concentrazioni variabili tra 5 e 15 Bq/m3. La variabilità della concentrazione di radon nell’aria dipende dai parametri fisici del territorio, come la geomorfologia del sito, o meteorologici, come la pressione atmosferica, la temperatura, l’umidità, la velocità del vento.

In Italia è presente?

Il nostro Paese mostra una grande varietà di scenari geologici differenti per cui anche la concentrazione del radon, prodotto dalle rocce nel sottosuolo e che può raggiungere l’ambiente superficiale, non è uniforme e può variare in misura significativa. Il contributo maggiore è essenzialmente legato alle caratteristiche litologiche del territorio e, in particolare, alla presenza di rocce con maggior contenuto di uranio (U) e radio (Ra), come le rocce vulcaniche effusive (tufi, basalti) molto diffuse lungo il margine tirrenico della nostra penisola, intrusive (come i graniti) diffusi nel settore alpino, in Calabria e in Sardegna, ma anche alcune rocce metamorfiche (scisti, gneiss) presenti soprattutto nel nord Italia e in Sardegna. Queste rocce, tuttavia, possono emanare maggiori quantità di radon, rispetto a quello prodotto all’equilibrio a partire dalle concentrazioni di U e Ra, in funzione della loro permeabilità e dello stato di fratturazione. La presenza di fratture e di faglie permette al radon presente nel sottosuolo di migrare più velocemente verso la superficie terrestre dando origine a elevate concentrazioni di questo gas nel suolo.

Anche i materiali rocciosi impiegati per l’edilizia possono contenere radionuclidi (uranio e radio) in concentrazioni elevate e avere un tasso di esalazione di radon pericoloso. Il tasso di esalazione risulta tanto maggiore quanto più alta è la concentrazione di radio e la porosità del materiale. In generale, comunque, il contributo legato alla diffusione dai materiali edilizi ben sigillati e/o ben areati è quasi trascurabile.

 

Come si misura il radon e dove devono essere fatte le rilevazioni?

La misura del livello di radon indoor è espressa in Bq/m3 (Bequerel per m3). Ad esempio, una concentrazione di 100 Bq/m3 significa che 100 atomi di radon si disintegrano ogni secondo in 1 m3 di materiale o aria in questione.

Per ottenere una misura significativa del livello di radon medio cui si è esposti all’interno di un’abitazione, è necessario tener conto che la concentrazione di questo gas varia, oltre che da zona a zona del territorio, anche nel tempo a causa dell'influenza di numerosi fattori meteoclimatici e abitativi. La presenza del radon in un ambiente chiuso varia continuamente sia nell’arco della giornata (generalmente di notte si raggiungono i livelli più alti) sia stagionalmente (di norma in inverno si hanno concentrazioni maggiori che in estate). Pertanto, è importante che la misura si protragga per tempi lunghi, generalmente un anno.

 

Quali strumenti sono impiegati per misurare la concentrazione di radon in un ambiente?

La misura del radon all'interno di un ambiente confinato può avvenire mediante due tipi di dispositivi: misuratori passivi e misuratori attivi.

I misuratori passivi (dosimetri) sono apparati di piccole dimensioni che non necessitano di alimentazione elettrica; essi forniscono un valore medio della concentrazione di radon in aria nel periodo di esposizione. Questi strumenti non emettono alcuna sostanza o radiazione e possono essere collocati in un locale per un determinato periodo di tempo, al termine del quale vengono inviati a specifici laboratori per l’analisi delle tracce e la restituzione dei dati. In casi particolari, si possono utilizzare anche i misuratori attivi per rilevazioni di breve durata e per monitoraggi in continuo (volti ad analizzare l’andamento della concentrazione di radon nel tempo), per esempio allo scopo di pianificare e/o valutare l’efficacia degli interventi di bonifica in edifici con elevati valori di radon.

 

Qual è il rischio che produce?

Essendo un gas nobile non reattivo, una volta inalato, il radon non si deposita nei polmoni ma viene rapidamente espulso con trascurabile contributo di dose di radioattività ai polmoni. Gli effetti dannosi del radon sono dovuti soprattutto ai suoi prodotti di decadimento, elementi radioattivi solidi alfa-emittenti (Po-218 e Po-214). Questi elementi, contestualmente presenti nell’aria, possono legarsi al pulviscolo atmosferico o alle particelle di fumo ed essere a loro volta inalati o ingeriti, e andarsi a depositare nel tessuto bronchiale e/o polmonare dove rilasciano dosi significative di radiazione α. Mentre la cute umana è poco sensibile alle radiazioni α, al contrario le cellule dei tessuti degli organi interni, in particolare il tessuto bronchiale e polmonare, sono molto sensibili a tali particelle e l’entità del danno dipende dall’intensità e dalla durata dell’esposizione. Le diverse sostanze radioattive prodotte dal decadimento del radon possono quindi entrare nel nostro corpo, raggiungere i diversi organi interni e rimanevi per molto tempo, emettendo costantemente le loro radiazioni e quindi provocare dei danni alla nostra salute.

Nel 2008 uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità ha stimato che in Italia ci sono 3.200 morti ogni anno per tumori polmonari attribuibili al radon circa il 10% sul totale annuo di decessi per tumore polmonare in Italia. Nel caso specifico dei fumatori, l'esposizione ad elevate concentrazioni di radon indoor fa aumentare di circa il 25% le probabilità di contrarre un tumore polmonare.

 

Quali soluzioni è possibile adottare per mitigare o bloccare il passaggio di radon in ambienti abitativi?

I principali accorgimenti in fase di progettazione riguardano l’isolamento dal terreno, la possibilità di areare il vespaio o le cantine, la sigillatura delle vie di accesso del gas all’interno, rendendo impermeabili i solai, e l’isolamento di fessure e condutture. Anche la scelta dei materiali da costruzione a basso contenuto di radionuclidi naturali riduce i livelli di concentrazione. Per ridurre la concentrazione di radon in un edificio esistente è possibile adottare tecniche di mitigazione, che consistono in semplici accorgimenti o interventi finalizzati a ridurre l’ingresso del radon nell’edificio e/o ad aumentare il ricambio dell’aria interna attraverso l’immissione di aria esterna.

Prima di procedere alla scelta del sistema di risanamento, è necessario acquisire informazioni sull'edificio, come il tipo di materiale da costruzione, le caratteristiche del suolo e del sottosuolo su cui poggia, il tipo di fondamenta, gli impianti di ventilazione o climatizzazione esistenti, le possibili vie di canalizzazione e l'eventuale presenza di sistemi di drenaggio dell'acqua sotto l'edificio.

In generale, le misure da adottare sono:

  • areare di più gli ambienti: una soluzione molto semplice, ma non sempre utilizzabile in inverno; inoltre non consente di ridurre la concentrazione quando i livelli sono molto elevati.
  • sigillare le vie di accesso del radon: deve essere sempre realizzata, a prescindere dal tipo di intervento scelto.
  • negli edifici dove è presente un vespaio, aumentare la ventilazione naturale del vespaio e, se ciò non è sufficiente, installare un sistema di ventilazione forzata.
  • negli edifici con fondazione a platea, la tecnica più utilizzata è la depressurizzazione del suolo sotto l'edificio mediante l'installazione di un pozzetto radon sotto o vicino all'edificio, collegato a un impianto di estrazione dell'aria.
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Giancarlo Ciotoli
Ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria.
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