Intervista
Maria Vittoria Capitanucci
Docente di storia e critica dell’architettura contemporanea, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano

La professoressa Capitanucci esplora le recenti tendenze dell'interior design, ponendo l'accento sulla sostenibilità, la flessibilità e la fusione di tecnologie moderne con l'estetica storica. Affronta inoltre l'impatto della pandemia sugli spazi abitativi e discute l'importanza dei materiali innovativi e l'evoluzione del ruolo delle donne in architettura.

Quali sono state le tendenze più significative dell’abitare negli ultimi anni? 

Oggi coesistono tanti linguaggi e tendenze, anche molto diversi tra loro: alcuni di questi sono nati negli ultimi 20 anni, mentre altri ci accompagnano da più tempo e non sono mai scomparsi. Alcune espressioni sono legate a cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, come l’introduzione di nuove norme e la presa di coscienza dell’importanza della sostenibilità, un tema cruciale sul piano della definizione dell’architettura ma anche della progettazione degli interni. Gli spazi si riducono e si fanno più flessibili, come piaceva in fondo anche a Giò Ponti nelle proprie case… o come avevano pensato e previsto i mitici Archigram. La casa minima di Norman Foster per le condizioni di emergenza presentata all'ultima Biennale di Venezia, geniale, sostenibile e bellissima è il riflesso di ricerche e sperimentazioni che partono da Bukminster Fuller (anzi dalla capanna primitiva di Semper) e arrivano alle necessità scaturite dalle nostre tragedie belliche e climatiche. Oggi si vive molto anche in spazi comuni, c’è un interessante riuso dello spazio pubblico. Lo spazio privato in un certo senso si può ridimensionare, trascorriamo molto tempo fuori dal luogo in cui viviviano/dormiano, ancor di più dopo gli eventi pandemici. Al tempo stesso, intere generazioni scioccate e ferite dal Covid si sono rintanate all’interno delle abitazioni ma utilizzando gli spazi in modo ancora diverso. Questi elementi stanno certamente influenzando la ridefinizione degli interni. C’è poi l’aspettativa di vita molto più lunga, con molti anziani che necessitano di luoghi per vivere in qualità, la ridefinizione degli stessi appartamenti in cui magari hanno vissuto per anni ma soprattutto la realizzazione di residenze adeguate. La concezione della distribuzione interna degli spazi sta dunque cambiando, il modo con cui questi vengono fruiti e utilizzati e, soprattutto, il tempo in cui si vive in casa, rappresentano alcuni degli elementi che influiscono nel ripensamento degli interni contemporanei. 

Come sono cambiate le scelte estetiche e quali i materiali più in uso oggi?

Quanto a un discorso più di linguaggi e tendenze, si potrebbe dire che esiste un filone minimalista ed essenziale che sia affianca a un altro magari più pop, che recupera quella modernità, ormai storicizzata, degli anni 60-70. Abbiamo poi assistito all’abbandono di alcune visioni che si situavano tra il lusso estremo e l’eclettismo. Ormai anche le culture e i Paesi che avevano mantenuto un legame con questi linguaggi si sono completamente riscattati da certe esagerazioni per ritrovare un lusso più essenziale, più ricercato. Lo si ritrova  anche nel comfort più estremo, nel coinvolgimento del mondo dell’arte, o nelle grandi firme, magari appartenenti al mondo del fashion, molte delle quali ormai hanno sezioni dedicate al design… Oggi il lusso si concentra sui materiali e sulla tecnologia: il mondo digitale ha infatti influenzato la progettazione degli interni con l’utilizzo della robotica, la presenza di schermi o megaschermi, la generale domotica degli interni che ne connota anche caratteri, dettagli e persino la distribuzione degli spazi. Insieme alla iper-digitalizzazione si apre anche un filone che potrebbe sembrare opposto, e lo è, almeno in parte, quello del ritorno all’ artigianalità, alla presa di coscienza del valore dei materiali, degli antichi mestieri e a una naturalezza che è anch’essa legata alla sostenibilità e che non corrisponde sempre a un linguaggio lineare. Molti elementi ambivalenti a volte coesistono anche in uno stesso interno. 
Da segnalare anche l’utilizzo di materiali artificiali (che in verità innescano anche delle soluzioni virtuose sul piano ecologico) che riprendono i motivi della pietra, del marmo o del legno, con prestazioni fantastiche. C’è poi una tendenza che vede l’inserimento negli interni di piante, elementi naturalistici, materiali e tecniche sostenibili: a volte, per esempio, si preferisce non incollare gli elementi per evitare di avere in seguito dei problemi nel riuso dei materiali. Si torna quindi a tecniche di incastro molto complesse che erano state superate. 
Infine, una tendenza che si sta sviluppando molto è quella del recupero dell’antico, che per molto tempo non apparteneva alla cultura del design. C’è un superamento della passione per il vintage e il moderno – dagli anni 30 agli eroici 50 – per un rinnovato interesse per i pezzi storici, grazie anche a incontri e grandi mostre legate all’antiquariato. È una presa di coscienza importante della storia passata e fa parte di una tendenza più generale che punta sul riuso e sul passaggio di mano in mano ma ha anche a che fare con un’attenzione generale all’arte, anche quella antica, e a un ritorno al valore del tempo, dell’arte artigianale e agli arredi più alti.
In Italia c'è sempre stata una forte connessione con il luogo dell'abitare, un radicamento che sta cambiando con le nuove generazioni

La disponibilità di materiali innovativi come influenza la progettazione degli interni?

Senz’altro apporta un grande contributo. Per me il problema non è solo di tipo strutturale: sappiamo che possiamo realizzare strutture ad altissimo tenore tecnologico, sottili e di grande flessibilità per gli interni. Esiste anche una forte influenza negli interni, il vetro ad esempio è diventato una pelle intelligente e super high tech, in grado di influenzare la definizione degli ambienti in assoluto. Penso anche alle pannellature speciali che vengono realizzate per le facciate degli edifici e alle pitture degli interni. A questi aggiungerei il recupero dei materiali della tradizione, secondo quel doppio filone che si muove con grande attenzione tra recupero di tecniche e materiali della tradizione e sperimentazione estrema, tra mattone e nuovi collanti, si potrebbe dire, tra le potenzialità della terra cruda e le modellazioni/realizzazioni in 3D. Anche l’industria del design sta sempre più spesso rieditando pezzi di grandi maestri utilizzando materiali sostenibili, molto sofisticati, un modo per tornare verso la natura ma con un alto tenore tecnologico. 

Lei insegna al Politecnico di Milano: quali sono state nel terzo millennio le maggiori trasformazioni dell’abitare nel capoluogo lombardo?

Forse perché non è una città molto grande, Milano ha saputo mantenere degli equilibri abbastanza costanti a livello di distribuzione dell’abitare, del terziario e del sistema produttivo. Questi equilibri, pur essendo stati alterati in modo violento dalla gentrificazione, qui in un certo senso sono stati meno devastanti evitando, almeno fino a oggi, il rischio che il centro storico diventasse un luogo destinato al solo terziario e al retail di lusso. È interessante anche vedere come il territorio milanese si sia allargato: tante persone, di diversa estrazione, si sono mosse, non solo perché obbligate (e comunque questo resta un problema sociale importante e grave), ma anche per cercare luoghi non così densi, per avere un rapporto diverso con la natura, certo, anche per sostenere costi inferiori o perché avevano direttrici lavorative che riconducevano ad altri territori. In questo modo Milano è diventata diffusa in modo più reale. Da questo punto di vista si potrebbe dire che ha mantenuto e ampliato una grande varietà di modi di vivere il territorio, un po’ per necessità economiche e un po’ per scelte. Al tempo stesso purtroppo è però vero che i costi dell’abitare sono aumentati, un problema non da poco dal punto di vista politico e sociale.
Un altro aspetto interessante del capoluogo lombardo è stata la mescolanza di diverse modalità dell’abitare, dai social housing alle residenze studentesche, fino ai sistemi abitativi complessi come Cascina Merlata, dove sono presenti realtà diverse sia a livello di funzioni che di tipologia di abitazioni. In questi progetti una grande coralità di designer ha utilizzato diversi linguaggi. Altra realtà e altri casi sono rappresentati da City Life e dalla zona di Porta Nuova, dove gli edifici residenziali sono stati invece destinati a un target molto preciso di persone. Quell’abitare va detto che ha però creato un indotto e dei riflessi economici nei dintorni e c’è stata anche una riqualificazione positiva delle aree limitrofe. 
A Milano esistono sistemi abitativi complessi come Cascina Merlata, dove si mescolano realtà diverse.

Oltre il 70% degli italiani è proprietario dell’immobile in cui vive: quali sono le conseguenze? Possiamo dire che ci sia più attenzione agli spazi abitativi rispetto ad altri Paesi?

In Italia abbiamo sempre avuto questa forte connessione con il luogo dell’abitare, con i luoghi in cui siamo nati, un attaccamento alle origini, ove possibile o comunque alla ‘casa’. I nostri migranti sono sempre, o spesso, tornati nel loro territorio e hanno comprato case per loro e per i loro figli. Questa tradizione è sempre stata molto forte, ma ciò non vuol dire, a mio parere, che in Italia vi sia una maggiore attenzione agli spazi dell’abitare rispetto a quella di altri Paesi. Abbiamo certamente cura dei nostri spazi privati, più di quelli comuni e pubblici, purtroppo, siamo un popolo che conosce la bellezza dell’architettura, dei luoghi storici e del paesaggio... Questo radicamento è un po’ antico e archetipico ma sta cambiando e cambierà moltissimo per le nuove generazioni, comunque più “nomadi” per DNA, sia perché purtroppo non esistono più le condizioni economiche di un tempo, sia, e soprattutto, perché le nuove generazioni sono abituate a non vivere sempre nella stessa città, molti frequentano le università all’estero o comunque altrove, e a lavorare in luoghi diversi da quelli di provenienza. O ancora, lavorando da remoto questo si può fare anche da luoghi ameni. Dunque l’investimento nella casa non è più una priorità.
Per evitare la dissoluzione di una realtà sociale nel tessuto urbano è necessario riqualificare e rendere sostenibili alcuni edifici che non lo sono ancora

Quasi il 6% degli italiani vive in condizioni di disagio abitativo. Una soluzione è costituita dall’housing sociale, avviato dal Piano nazionale di edilizia abitativa: quali sono le potenzialità e le criticità di questa iniziativa? 

A Milano c’è stato un movimento importante, con progetti di housing sociale di buon livello, che è partito una ventina di anni fa e poi si è a un certo punto fermato. Io penso che ci dovrebbe essere anche una riqualificazione degli edifici pre-esistenti. Trovo che per evitare la dissoluzione di una realtà sociale all’interno del tessuto urbano sia necessario riqualificare e rendere sostenibili alcuni edifici che non lo sono ancora e destinarli a questi progetti. Si pensa sempre all’housing sociale come a nuove costruzioni, certo questo è uno degli aspetti e le occasioni verificatesi a Milano in anni recenti sono state di esempio, penso ai Mab in via Gallarate, ai numerosi bei progetti di Cecchi e Lima e a quelli più recenti di B22 e delle cooperative. Ritengo però che sia necessario lavorare anche sulle preesistenze in ogni zona della città e che debba essere previsto un mix di funzioni e di persone che possano condividere questi spazi, chi vivendoci, chi lavorandoci, chi studiandovi. Nell’housing sociale dovrebbero rientrare anche le residenze per anziani e quelle per studenti.

Lei ha lavorato sul tema “Protagoniste dell’architettura del XX e XXI secolo”: come definirebbe oggi la presenza e il ruolo delle donne nel mondo dell’architettura? 

Penso che le donne dall’800 in poi abbiamo fatto tantissimo e non solo all’estero. In Italia abbiamo avuto una bella tradizione e un femminismo importante, colto e disincantato che a un certo punto è stato quasi rinnegato (anni 90/2000) soprattutto politicamente, e anche da molte donne, e questo è stato un fatto grave e inspiegabile. Tutto quello che con grande fatica e lotte si era ottenuto è stato dato per scontato, e perciò superabile, ed è stato lì che sono arrivate le maggiori discriminazioni, a mio avviso, soprattutto da parte dei piani alti del potere. Una specie di bastone e carota che ha illuso e ha confuso un’intera generazione di donne. Tutti uguali ma non agli apici, così nella finanza, nell’industria e nella politica. Questo è l’aspetto, a mio avviso, più grave e contro il quale bisogna ancor lottare e imporre le capacità di ciascuna. Non siamo una cultura patriarcale come si è voluto far passare di recente, un anglismo concettuale che importato alla condizione italiana è come se annullasse due secoli di lotte e presa di coscienza delle donne con battaglie inalienabili come quelle prima per il voto, poi per la corretta remunerazione del lavoro e soprattutto per il divorzio e l’aborto. Credo comunque l’architettura non sia uno degli ambiti in cui vi siano maggiori preclusioni o discriminazioni nei confronti delle donne, così come nell’ambito dell’Università e dell’insegnamento. Oggi noi possiamo, e dobbiamo, pensare di poter essere quello che vogliamo in tutti i campi. Trovo che ci sia sempre di più il rispetto da parte di tutti di quelle che sono le diversità, dunque, si è andati ben oltre il tema donna-uomo, e si deve rivendicare il rispetto di ogni genere di discriminazione. Sono abbastanza convinta che quello delle donne in architettura sia ormai un “falso problema” e che sia più importante oggi cercare di creare delle connessioni tra le donne: non siamo sempre così brave a fare lobby, facciamo un po’ fatica a farlo quando è il momento o forse non sarà più nemmeno necessario farlo tra di noi ma tra persone collaborative e rispettose di qualsiasi “universo”. 
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