autore
Mario Botta
Architetto
Mario Botta parla dei suoi progetti e della trasformazione di Milano. Nato nel 1943 a Mendrisio, in Svizzera, Mario Botta già a sedici anni disegna la sua prima casa unifamiliare, poi realizzata a Morbio Superiore. Durante gli studi universitari (dal 1964 al 1969) ha l’occasione di conoscere quelli che considera i suoi modelli di riferimento, Le Corbusier, Louis Kahn e Carlo Scarpa. Nel 1970 apre il proprio studio a Lugano e, al lavoro di progettazione, affianca l’insegnamento e la ricerca tenendo conferenze, seminari e corsi di architettura in diverse scuole europee, asiatiche e americane. Ha ricevuto molti premi e riconoscimenti internazionali.

Nato nel 1943 a Mendrisio, in Svizzera, Mario Botta già a sedici anni disegna la sua prima casa unifamiliare, poi realizzata a Morbio Superiore. Durante gli studi universitari (dal 1964 al 1969) ha l’occasione di conoscere quelli che considera i suoi modelli di riferimento, Le Corbusier, Louis Kahn e Carlo Scarpa. Nel 1970 apre il proprio studio a Lugano e, al lavoro di progettazione, affianca l’insegnamento e la ricerca tenendo conferenze, seminari e corsi di architettura in diverse scuole europee, asiatiche e americane. Ha ricevuto molti premi e riconoscimenti internazionali. Tra le sue opere italiane, da citare il Mart - Museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto e Trento -,
la cantina Petra a Suvereto, la chiesa Papa Giovanni XXIII a Seriate, la ristrutturazione e l’ampliamento del Teatro alla Scala a Milano, la chiesa del Santo Volto a Torino, la nuova sede Campari a Sesto San Giovanni, la riqualificazione urbana dell’area ex Appiani a Treviso, la nuova ala della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, la facoltà di biologia e biomedicina dell’Università di Padova e, attualmente in costruzione, la chiesa di San Rocco a Sambuceto.

 

Lei ha firmato il precedente progetto di riqualificazione del Teatro alla Scala e firmerà la prossima costruzione della seconda torre che affiancherà quella costruita nel 2004. Come si svilupperà il progetto e quali sono stati i problemi che ha dovuto superare, a cominciare dalla scarsa metratura a disposizione?

Come Lei ha sottolineato, la particella di terreno offerta per l’ampliamento e la ristrutturazione della Scala, attualmente situata lungo via Verdi, è esigua (poco più di 500 m2) e sono richiesti circa 5000 m2 di superficie utile. Ma resta comunque un terreno prezioso poiché l’intero Teatro alla Scala è racchiuso e bloccato fra via Verdi, piazza della Scala e via dei Filodrammatici (sulla parte retrostante c’è Banca Intesa con le proprie edificazioni) ed è in questo piccolo contesto che la macchina teatrale della Scala necessita di molte superfici per poter adeguare la propria programmazione alle attuali richieste. Per queste ragioni il progetto si sviluppa essenzialmente in altezza, con una fossa scenica (per la sala prova dell’orchestra) che si abbassa di 18 m dal piano terra e una “torretta” fuori terra (con uffici, servizi e sala prova per il balletto in alto) che s’innalza fino all’altezza dell’attuale torre scenica (circa 38 m) e ha il vantaggio di trovarsi in contiguità con essa.

 

Il primo progetto del 2004 ha fatto discutere per la sua modernità. Quasi un anticipo dei cambiamenti avvenuti a Milano da 10 anni a questa parte, con i nuovi progetti che ne hanno cambiato il volto. Si considera precursore di questo rinascimento architettonico milanese?

Il progetto del 2004 era “necessariamente” moderno poiché richiedeva un adeguamento tecnologico – la nuova torre scenica – in grado di rispondere alle movimentazioni sceniche richieste per un teatro contemporaneo. La domanda di una maggiore flessibilità dei differenti spazi dipende anche da un fattore economico, che una struttura teatrale non può ignorare.

Queste erano le premesse che hanno condotto alla forma espressiva contemporanea adottata per la torre scenica e per la sopraelevazione a pianta ellittica dei camerini, collocati al di sopra del livello di gronda.

La modernità è stata inoltre sottolineata dalla correttezza e dalla sincerità dell’uso dei materiali per soddisfare, appunto, le esigenze proprie della cultura del nostro tempo.

 

Spesso lei è a Milano. Può raccontare come è cambiato il volto della città? E come pensa cambierà in futuro?

La città di Milano ha avuto un’accelerazione impressionante nell’ultimo decennio con scelte (o non scelte) imposte dalla globalizzazione e dalla società dei consumi. Le città si sono trasformate anche in punti di riferimento che richiedono immagini iconiche per andare incontro alle nuove esigenze del marketing. In questo senso, Milano si è trasformata - con tutte le riserve che si possono avanzare - in una nuova agglomerazione che si adegua a una società globale. In futuro dovrà però fare uno sforzo per rispondere a un territorio di storia e memoria da recuperare e ancora possibili che restano valori abitativi ed identitari molto importanti per le generazioni future.

 

 

 

Già le sue prime costruzioni sono caratterizzate da un’accurata ricerca di stili e materiali, per esprimere al meglio funzione e personalità della struttura architettonica. Parlando di materiali, quale ritiene essere l’elemento predominante nelle sue costruzioni?

Quando mi è possibile preferisco usare materiali “naturali”: la terracotta attraverso i mattoni a vista, la pietra naturale come rivestimento, il calcestruzzo a vista come struttura e il legno prevalentemente per gli interni perché, alle nostre latitudini, l’impiego esterno di questo materiale risulta problematico e difficile.

Si tratta comunque di materiali legati all’ambiente, al clima e, più in generale, al territorio nel quale si è chiamati a costruire.

 

Quali riferimenti architettonici del passato hanno influito maggiormente sulle sue opere?

La grande architettura del passato è la vera “scuola” di riferimento. L’architettura trova espressione attraverso le opere poiché interpreta, al di là della sensibilità e del linguaggio dell’architetto, anche la storia del proprio tempo. Per questo è possibile dire che le opere di architettura si presentano come l’espressione formale della storia. Vi è una componente antropologica che lega i manufatti al passato, a uno spazio di memoria che riemerge prepotentemente anche nel “contemporaneo”. L’architetto ha un grande privilegio in quanto i riferimenti dell’arte del costruire sono legati alla storia stessa dell’intera umanità.

 

Tempo fa ha affermato che la “inquieta” lavorare su un solo progetto e che preferisce lavorare su più cantieri. È ancora di questa opinione?

Certo. Lo penso ancora. Semplicemente perché il processo di realizzazione nella cultura del moderno si è – paradossalmente – via via sempre più allungato, per cui tra l’idea iniziale e l’opera costruita possono passare dei decenni… e la vita dell’architetto rimane sempre una sola…

Per questo, lavorare su più cantieri consente di avere una verifica costante del proprio lavoro.

 

Lei è un architetto di fama internazionale che progetta in tutto il mondo. Attualmente dove sono localizzati i suoi principali lavori?

L’Europa rimane il contesto di riferimento principale, per affinità elettiva ma anche per la comodità dei rapporti che il nostro lavoro richiede. In questi ultimi decenni si sono aperti alcuni spazi di interesse e di lavoro nell’Estremo Oriente: in Corea, in India e soprattutto in Cina. Paesi lontani che restano misteriosi anche nel processo di realizzazione architettonica ma che offrono nuove possibilità espressive e di sperimentazione. Nella maggior parte dei casi l’architetto non sceglie i propri lavori ma viene scelto e diventa lo strumento ultimo di un percorso progettuale che spesso sfugge alle sue stesse valutazioni.

 

Quest’anno ha compiuto 75 anni. Se dovesse tracciare un bilancio della sua ricerca architettonica, quale tra le sue opere la rende più fiero o più soddisfatto?

Certamente “la prossima”, poiché il nostro è un lavoro di approssimazione continua, che lascia una grande speranza progettuale a quanto deve ancora avvenire. Le opere compiute sono interessanti e richiedono delle valutazioni a posteriori, ma sono comunque “proprietà” della collettività e l’architetto, anche nel caso delle migliori intenzioni, non può modificarne la fattura. Nel momento in cui si affronta il cantiere vi è sempre un’attesa felice e nel contempo un’insoddisfazione latente per le modifiche che non possono più essere apportate.

 

I dati del progetto

Cantiere
Restauro teatro
Località
Milano, Italia
Sottocategoria
TEATRO
Costruito nel
1776
Inaugurato nel
1778
Intervento
Restauro completo e nuova costruzione
Inizio e fine dei lavori
2001/2004
Tipo di intervento
Recupero calcestruzzi
Progettisti
Arch. Mario Botta (edilizia nuova); Arch. Elisabetta Fabbri (Restauro)
Credits
Gianni Dal Magro; Massimiliano Nicastro
Direttore lavori
ing. Antonio Acerbo
autore
Mario Botta
Architetto
Tag
#architettura
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