Intervistato
Carlo Blasi
Consulente per la direzione dei lavori di rinforzo strutturale della Cattedrale di Notre Dame
Il professor Carlo Blasi, consulente per la direzione dei lavori di restauro, racconta: anche i disegni del progetto di Eugène Viollet-le-Duc e il giornale dei lavori di costruzione sono stati utilizzati per riportare la cattedrale di Parigi al suo aspetto originario.

Professore, Lei è stato coinvolto nel progetto di restauro e ricostruzione delle coperture e delle volte della Cattedrale di Notre Dame con particolare riferimento alla risoluzione delle problematiche di stabilità strutturale. Che tipo di operazioni, in particolare, sono state eseguite sulle volte della Cattedrale? 

All’interno del sito di Notre Dame sono state effettivamente eseguite sia operazioni di ricostruzione che di restauro perché una parte delle volte, come la volta a crociera  centrale e parte delle volte del transetto, è crollata ed è quindi stata ricostruita; invece, sulle volte che sono rimaste in piedi sono state eseguite delle operazioni di consolidamento. Erano state danneggiate dal fuoco sull’estradosso e avevano problemi di delaminazione: la parte superiore si era, in molti casi, staccata e sono state riscontrate delle fessurazioni all'interno. Quindi abbiamo eseguito delle operazioni di consolidamento con l'obiettivo di ripristinare la resistenza e lo spessore originari delle volte. 

In cosa consistevano, in particolare, le problematiche di stabilità strutturale?

Dal punto di vista della stabilità globale, il fatto che buona parte di queste volte fosse lì da 800 anni era già una garanzia, più affidabile di ogni possibile modellazione virtuale. La Cattedrale di Notre Dame non presentava particolari fenomeni fessurativi o di dissesto, se non in minima parte sulla sommità dei muri: possiamo dire che il comportamento fisiologico delle strutture nei secoli è stato buono. I problemi non erano tanto legati alla stabilità, ovvero a che cosa poteva succedere andando a ricostruire le volte come erano originariamente, come richiesto espressamente dal Ministero francese della cultura, quanto al verificare quali parti, rimaste pericolanti, fossero da rimuovere per non avere punti deboli. Quindi le pietre dissestate, ovvero quelle spostate dai crolli e non più sufficientemente stabili, sono state rimosse per poi procedere alla ricostruzione con pietre nuove della stessa tipologia.
C’era poi da porre rimedio ai danni all’estradosso delle volte e qui i prodotti Mapei hanno dato il loro contributo. Prima dell'incendio, in queste zone c'era una cappa di gesso, che è un materiale molto utilizzato in Francia. La cappa aveva protetto, almeno in parte, le volte perché il gesso funziona molto bene come isolante termico, ma gran parte della cappa era andata persa con l’incendio. Dopo un’accurata analisi sulle soluzioni a disposizione, si è preferito usare una malta che potesse riprodurre interamente lo spessore originario (o persino incrementarlo di 1-2 cm) ma con una valenza strutturale che il gesso non avrebbe potuto assicurare. Si è dunque optato per una malta che potesse dare una buona garanzia di resistenza anche all'interno dei giunti, dove la malta originaria era stata “cotta” dal fuoco. Quest’ultima è stata rimossa, i giunti sono stati aperti fino ad una certa profondità ed al loro interno e su tutta la superficie di estradosso è stata applicata la malta PLANITOP HDM RESTAURO.
(C) MAPEI France

Perché è stata scelta una malta fibrorinforzata?

È stata una necessità dovuta alle condizioni delle strutture in cui veniva applicata: non c’era solo da ricostruire una superficie, c’era bisogno che la malta entrasse dentro ai giunti ma che avesse anche un buon ancoraggio all'interno degli stessi e garantisse adeguati livelli di resistenza a taglio ed a trazione. Per verificare la facilità di applicazione della malta nei giunti erano state fatte delle prove a campione realizzando anche interventi con prodotti di aziende diverse. I risultati di queste prove hanno messo in evidenza come la messa in opera di PLANITOP HDM RESTAURO risultasse più facile ed efficace rispetto ad altri prodotti. 
Lavoro di restauro in quota eseguito con imbracatura. (c) MAPEI France

Quali altri criteri hanno portato alla selezione di PLANITOP HDM RESTAURO?

Uno dei prerequisiti era l’utilizzo di una calce idraulica, dunque il fatto che questo prodotto fosse a base di calce idraulica naturale e di Eco Pozzolana ha sicuramente avuto un ruolo nella selezione. Era poi necessario garantire la compatibilità con il gesso perché, come ho già detto, questo materiale si trovava nei giunti. Inoltre, è stata molto apprezzata la lunga esperienza che Mapei può vantare relativamente alle malte impiegate nei lavori di restauro e consolidamento. Mapei è stata in grado di dimostrare che i suoi materiali erano stati testati, sottoposti a varie prove e possedevano anche certificazioni relative alle loro resistenze e non si trattava, come nel caso di prodotti proposti da altre aziende, di malte a base di calce aerea a cui sono state semplicemente aggiunte delle fibre, prive di (o con una modesta) documentazione relativa alle proprietà ed alle resistenze meccaniche.
Oltre alla malta PLANITOP HDM RESTAURO, anche gli ancoraggi a “L” in fibra di vetro forniti da Mapei sono stati usati per i lavori, nelle zone dove si temeva che le pietre avessero spaccature interne non visibili, come era risultato da alcuni carotaggi. La capacità di un’unica impresa di fornire più soluzioni è stata molto apprezzata, anche perché risaltava, in confronto alle proposte di altri produttori, come indice di maggior esperienza in ambito di restauro e rinforzo strutturale.
Infine, è stata fondamentale la presenza dei tecnici di Mapei che sono venuti a fare le prove in cantiere. Il loro supporto, la loro competenza e la loro disponibilità sono stati veramente determinanti per la selezione dei materiali più adatti. Ad esempio, il fatto che i materiali fossero preparati da personale che li conosceva bene ha permesso di evidenziare il vantaggio competitivo rispetto agli altri prodotti proposti al momento delle campionature. Inoltre, gli esperti Mapei hanno istruito sul corretto modo di utilizzo dei materiali gli applicatori facendoli sentire sicuri, favorendo la collaborazione tra le varie parti e migliorando il clima generale del cantiere.

Quindi l’esperienza di un’azienda italiana e di un architetto e professore italiano hanno avuto un ruolo importante nel restauro della Cattedrale. A cosa si deve questa esperienza e come viene percepita in Francia, in particolare dagli attori coinvolti nel restauro di Notre Dame?

L’'esperienza italiana nel settore del restauro e del rinforzo strutturale è sicuramente molto ampia ed è dovuta al fatto che, a causa dei terremoti e dei tanti monumenti presenti sul territorio nazionale, il nostro Paese e i nostri professionisti hanno dovuto sviluppare delle competenze che altrove non sono così approfondite. Grazie al numero elevato di edifici storici che vengono restaurati e ricostruiti in Italia, abbiamo una necessità di dare stabilità e resistenza ai nostri monumenti che altri paesi, non interessati dalla problematica sismica, non hanno. Anche per quanto riguarda la normativa, in Italia abbiamo regolamenti più specifici e questo influenza, in maniera virtuosa, tutti gli addetti alle operazioni in abito strutturale che hanno un’esperienza, sia teorica che pratico-operativa, che all’estero non è altrettanto diffusa. Questo coinvolge anche le aziende produttrici che devono fornire materiali in grado di rispettare proprio queste specifiche normative ed esigenze in termini di proprietà e resa. 

Che problematiche aggiuntive sono state causate dall’intervenire su un edificio che vanta una così lunga storia e che è parte del patrimonio artistico e culturale della capitale francese e dell’intera nazione?

Come ho detto prima, sin dalle prime analisi è stata riscontrata una buona stabilità delle strutture e questo è dovuto alla competenza delle maestranze che hanno realizzato la Cattedrale e che nei secoli sono intervenute per garantirne la stabilità. Ad esempio, è stato fondamentale il lavoro di Eugène Viollet-le-Duc, che, dopo i danni prodotti durante la Rivoluzione Francese, ha effettuato interventi di ricostruzione e di consolidamento inserendo numerose catene di ferro per legare tra loro le varie pareti perimetrali, anche all’interno dei muri. Quest’operazione ha fatto sì che i dissesti nelle strutture portanti, riscontrati dopo l’incendio (a parte i danni prodotti dall’incendio stesso), siano stati molto modesti. 
Una problematica importante è stata invece quella dovuta dalla necessità di garantire, anche di fronte alle compagnie di assicurazioni, l’affidabilità dei lavori di consolidamento. Il sistema al quale siamo ormai abituati per garantire la stabilità degli edifici di nuova costruzione è quello dei calcoli strutturali e delle modellazioni virtuali, che, però, per gli edifici in muratura con una storia secolare risulta poco affidabile, perché può fornire risultati anche contrastanti tra loro in funzione delle incerte ipotesi sul comportamento meccanico dei materiali e dei programmi utilizzati, come la legge italiana ben riconosce. Le normative italiane, infatti, suggeriscono un uso molto attento di questi metodi virtuali e, nel caso di lavori su edifici storici, richiedono una relazione descrittiva delle soluzioni proposte, che tenga conto del comportamento reale nei secoli. In Francia però non c’è la stessa esperienza in materia; perciò, la tendenza è quella di dare un grande peso ai risultati dei calcoli e delle modellazioni. Ho però insistito sul fatto che 800 anni di storia sono già una prova concreta della stabilità di un’opera, un dato ben più attendibile di una modellazione virtuale o di un calcolo numerico. Sono quindi riuscito a convincere le autorità coinvolte che ricostruire l’edificio come era originariamente è di per sé una garanzia di stabilità negli anni a venire. Ricostruire la cattedrale come era prima dell’incendio e dei crolli era dunque la misura migliore per garantire che anche in futuro le strutture avessero una stabilità adeguata, almeno per altri ottocento anni. È stato proprio con l’obiettivo di ripristinare la situazione precedente all’incendio che è stato deciso di realizzare una cappa con una malta come PLANITOP HDM RESTAURO che è parsa la più idonea per riproporre gli spessori e le resistenze delle volte originarie. 
Archi in legno, all’incrocio del transetto che consentono la ricostruzione degli archi diagonali e dell’oculo della volta. (c) Romaric Toussaint_Rebatir Notre Dame de Paris

Quindi la scelta di “ricostruire come era” non è stata dettata solo da considerazioni estetiche, artistiche o di principio, ma anche da esigenze funzionali, relative anche alla stabilità dell’edificio. 

Tutte le autorità coinvolte sono state immediatamente concordi nel decidere che l'aspetto finale della Cattedrale dovesse essere il più possibile simile a quello precedente all’incendio. In un primo momento il Presidente Macron aveva detto che si sarebbe stato fatto un concorso e di conseguenza c’è stato un “fiorire” di proposte che ha fatto comprendere che la strada di un concorso pubblico era molto rischiosa e che l’iconografia storica doveva essere ripresa. Talvolta il ricostruire per riportare gli edifici al loro aspetto originario non permette però di garantire i livelli adeguati di sicurezza. A Notre Dame abbiamo studiato la possibilità di ricostruire le coperture in acciaio o in calcestruzzo armato ma poi si è deciso di ricostruire come effettivamente era prima. Per le parti in legno, la decisione è stata piuttosto facile per due motivi: era stato fatto un lavoro accuratissimo di raccolta informazioni che aveva usato anche i disegni del progetto di Violet Le-Duc ed il giornale dei lavori di costruzioni; inoltre, i risultati delle verifiche numeriche eseguite sulle strutture in legno (molto più facili e attendibili di quelle eseguite sulle strutture in muratura) avevano sostanzialmente confermato che queste strutture funzionavano bene anche applicando le normative attuali. Quindi sia il progetto originario con la sua storia ultracentenaria sia i calcoli numerici contemporanei hanno confermato l’efficacia della soluzione originaria e quindi la ragionevolezza di riproporre una struttura che era stata collaudata anche da secoli di efficienza. Per le murature c’è stata, come dicevo, qualche incertezza in più, per la difficoltà e affidabilità delle quantificazioni teoriche della stabilità. Ad esempio, è noto come nei calcoli che si possono fare sulla deformabilità, tra i dati reali registrati nelle strutture nel corso della storia e quelli ottenibili con i modelli virtuali ci siano spesso grosse differenze. Non è stato facile persuadere tutti i tecnici e non tecnici coinvolti a “fidarsi della storia” della Cattedrale ma alla fine ci siamo riusciti. Merito, probabilmente, proprio della grande esperienza italiana in termini di restauro e consolidamento degli edifici storici. Notre Dame tornerà, quindi, stabile come era.

Carlo Blasi

Nato a Firenze nel 1948, si è laureto con lode in Architettura nel 1972. È stato ricercatore nelle aree disciplinari della Scienza e della Tecnica delle Costruzioni nell’Università degli Studi di Firenze e Professore Associato di Restauro al Politecnico di Bari. Dal 2002 al 2014 è stato Professore Ordinario di Restauro presso l’Università degli Studi di Parma. Dal 2013 al 2017 è stato membro effettivo del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. 
Attualmente svolge attività professionale nello Studio Associato Comes del quale è co-titolare e tiene lezioni all’Ecole de Chaillot a Parigi.
Ha svolto attività di ricerca e attività professionale prevalentemente nel campo della progettazione strutturale, del restauro, della stabilità degli edifici storici e della protezione sismica. Per la tutela del patrimonio storico architettonico è stato consulente UNESCO, della World-Bank e di governi di numerosi paesi (come la Francia, il Giappone, il Marocco, la Siria). 
Si è occupato di importanti edifici monumentali in Italia e all’estero: il restauro della Cittadella di Damasco, la stabilità di Santa Sofia a Istanbul, la ricostruzione del Ponte di Mostar, la sicurezza del Pont Adolph a Lussemburgo, la ricostruzione e il consolidamento della Moschea e del minareto al-Nuri di Mosul, la stabilità dei templi di Angkor, del Panthéon di Parigi, il Duomo e del Battistero di Firenze, la ricostruzione del Teatro Petruzzelli oltre della ricostruzione di numerosi edifici dopo gli eventi sismici in Emilia e nelle Marche. 
Attualmente è incaricato del progetto di ricostruzione della Basilica di San Benedetto a Norcia, del consolidamento della Basilica di San Miniato a Monte a Firenze e delle problematiche di stabilità strutturale nell’ambito della ricostruzione di Notre Dame, su incarico del Ministero della Cultura francese. 
È autore di numerose pubblicazioni scientifiche. 
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