La Roubaix e la bici in carbonio: una scommessa vinta insieme
Caro Giorgio, c’è qualcosa di ingiusto nell’essere qui a ricordarti, ma non posso fare a meno di farlo con queste mie poche righe che hanno lo scopo di raccontare almeno in parte un’amicizia: la nostra amicizia. Vera, profonda e sincera con te e con tutta la tua stupenda famiglia.
I ricordi sono come gioielli preziosi che portiamo con noi in uno scrigno segreto e mi piace, in questa occasione, tirarne fuori qualcuno per parlare di te e di noi, del nostro cammino insieme nel mondo del ciclismo.
Il primo di questi ricordi ci riporta all’estate del 1993, tu eri entrato da pochi mesi nel ciclismo professionistico salvando la squadra creata da Marco Giovannetti. Avevi appena festeggiato il primo successo della Mapei, conquistato al Trofeo Melinda da Stefano Della Santa, quando ti ho chiamato per parlarti della Clas.
Era una squadra spagnola che rischiava di chiudere pur potendo contare su corridori importanti come Rominger e Olano: correvano con le mie biciclette e a me è sempre stata a cuore la sorte delle squadre che sceglievano e scelgono le mie biciclette.
Così ti ho suggerito l’idea di una fusione, e tu non ti sei fatto pregare, cogliendo al volo l’opportunità ed è nata così la Mapei Clas che è subito diventata una realtà vincente, raccogliendo in quel 1994 la bellezza di 62 corse tra le quali la Parigi-Nizza e la Vuelta España con Tony Rominger oltre alla Coppa del Mondo con Gianluca Bortolami.
In quell’anno, lo ricordo bene, tu e Adriana avete scoperto anche il fascino e la rudezza della Roubaix e proprio a quella corsa è legato un altro ricordo speciale che mi lega a te.
Era il 1996, io avevo aperto la strada al carbonio e realizzato con quel materiale anche le biciclette per la Roubaix. Erano in tanti, in seno al team, a non essere totalmente convinti della scelta. Altre case costruttrici presentarono quell’anno delle bici biammortizzate, e c’era il timore che il carbonio non fosse adatto per quel tipo di superficie. Il timore era uno e uno solo, che si spezzasse sulle terribili pietre del pavé francese.
«Ho studiato e fatto prove - ti avevo rassicurato al telefono - vedrai che le nostre biciclette saranno competitive». Ma evidentemente il tarlo del dubbio continuava a rodere e alla vigilia della corsa, ricordo che erano le 22, mi telefonasti ancora una volta. «Ernesto, ma sei sicuro? Ne va del buon nome della tua azienda e della mia squadra...». «Certo che sì, non ho cambiato idea» ti ho risposto. E la tua replica è stata da Giorgio Squinzi: «Allora si fa e se perdiamo, perdiamo in due». Tutti sanno com’è andata. Non abbiamo perso, anzi abbiamo stravinto con Museeuw, Bortolami e Tafi. E quella Roubaix rappresenta ancora oggi una pietra miliare nella storia del ciclismo.
Tanti i ricordi, che in questi giorni mi affollano la mente e mi gonfiano il cuore di struggente tristezza.
Uno degli ultimi ricordi ha anche una data: 9 febbraio 2018, il giorno del mio 86esimo compleanno. Sul palco dell’Unicredit Pavilion di piazza Gae Aulenti a Milano sale la mia nuova C64 e con te Fabio Aru, l’acquisto più importante della UAE Emirates, la squadra che corre da due stagioni con le mie biciclette. Io ti voglio ancora una volta al mio fianco per regalartene una: personalizzata e con i colori della Mapei. Sei emozionato, lo notano tutti, e mi sussurri: «Ernesto, questa bici tienila tu, passo a prenderla appena sto meglio…». Quella bicicletta è ancora qui, nel mio museo. È il simbolo di una grande storia e di una grande amicizia. Ma anche di un viaggio che speravo potesse essere molto più lungo.
Tuo Ernesto