Livia Pomodoro: quando il “fare” vale più del “dire”
Livia Pomodoro, Presidente Accademia di Brera e Presidente Spazio Teatro No'hma, ricorda Giorgio Squinzi.
Livia Pomodoro, Presidente Accademia di Brera e Presidente Spazio Teatro No'hma, ricorda Giorgio Squinzi.
È stata una sua telefonata a preparare per me, con Giorgio Squinzi, quello che un vocabolario troppo spesso distratto ci ha insegnato a chiamare “incontro”. Ci conoscevamo certo, come accade tra figure istituzionali: io avevo da poco lasciato la Presidenza del Tribunale di Milano e mi ero tuffata “anima e core” nel Teatro No’hma che mia sorella Teresa mi aveva lasciato; lui aveva terminato il mandato presidenziale in Confindustria (23 maggio 2012-25 maggio 2016). Ma far parte dello stesso club non significava conoscersi.
Durante la sua Presidenza l’Italia aveva sperimentato le lacrime e sangue di Monti e rischiato il default. Ma il coraggio di Squinzi aveva riacceso i motori della speranza nel ridare centralità all'industria e al settore manifatturiero combattendo il rischio di una “desertificazione industriale”. Questa l’espressione che aveva usato. E aveva stimolato il mondo della politica ad effettuare quello che, con una metafora sportiva, aveva definito “un cambio di passo”, ad aggredire poi gli ormai cronici mali dell’amministrazione pubblica con i suoi “lacci e lacciuoli”. Allora, come purtroppo ancor ora ci capita, Squinzi si era battuto per la deroga ai vincoli di bilancio europei per finanziare così infrastrutture e ricerca, le due grandi piattaforme di sviluppo che ci potrebbero rimettere in piedi.
Ancora oggi.
Dopo viale dell’Astronomia Squinzi avrebbe continuato il suo servizio istituzionale in qualità di presidente del Consiglio di Amministrazione del Gruppo 24 Ore e con quella sua telefonata mi chiedeva appunto di far parte della squadra: salire a bordo. Non è stata un’esperienza felice, la nostra, a fronteggiare – come ci capitò – una situazione più che complicata (di conti in rosso e di compromesse relazioni tra redazione e direzione del giornale). Ma quel contesto anche tragico (come poter dimenticare quel 30 settembre con il malore di Gabriele Del Torchio?) è stato il lievito e poi il cemento di una salda amicizia tra di noi.
Sì, perché oltre all’imprinting imprenditoriale che definisce l’orizzonte di un colosso industriale presente in 33 Paesi del mondo, Giorgio Squinzi certo non si è negato altre passioni: a cominciare dallo sport dove ha saputo cogliere, prima nel ciclismo, una ghirlanda irripetibile di successi. E poi nel calcio, costruendo la splendida avventura del Sassuolo: una cavalcata dalle serie minori all’eccellenza. Anche qui nel segno della lungimiranza, con uno stadio di proprietà che rappresenta ancor oggi una importante eccezione nel panorama stantio del calcio nazionale.
Ma non solo sport: Squinzi ha coltivato l’amore per le arti visive e per il bel canto come ben sanno la Fondazione Guggenheim e il Teatro alla Scala.
Azioni ed emozioni che ha regalato a questo nostro Paese, azioni ed emozioni che ne hanno fatto una persona straordinariamente generosa. Anche con me, in particolare, con il mio teatro e da ultimo con il contributo per ristrutturare l’ex chiesetta di Santa Marta per l’Accademia di Brera che presiedo.
Credo poi che Giorgio Squinzi sarebbe felice di sapere che tutta questa sua energia positiva trova ora nella moglie Adriana sicuramente un seguito. A cominciare dal lavoro di Sodalitas, la Fondazione che lei presiede, dedita ai temi dello sviluppo e della responsabilità sociale di impresa. Se dovessimo infine misurare – in fondo lo facciamo così poco, amici come siamo dell’indulgenza verso noi stessi – la distanza che separa il nostro dire dal nostro fare avremmo, con Giorgio Squinzi, la sorpresa e la conferma di un gioco a somma zero. Di più: il fare sopravanzerebbe il dire. Ed è soprattutto quest’ultimo aspetto a rendere la sua amicizia con me e con i moltissimi che lo hanno amato un raro privilegio, un incontro speciale.