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Don Antonio Mazzi
Presidente Fondazione Exodus
Don Antonio Mazzi parla di Giorgio Squinzi.

È nata con Giorgio non so in che modo e quando, un’amicizia così particolare e calda, come nascono quelle cose che mai avresti immaginato. Il suo sorriso, la sua capacità di rapporti autentici mi ha subito catturato, facendo di lui un compagno di vita e quasi un collega di avventure.

“Come va? Come stai? Hai bisogno?...”. Ridurre Giorgio all’uomo Mapei, al Presidente degli industriali e a tutti gli altri titoli a seguire, sarebbe stato per me svuotarlo di quella grande e rara ricchezza che mai è girata in quel mondo.

Quasi, quasi direi “è morto un mio compagno di banco delle elementari”. È la frase più amichevole che io dico ai miei tre o quattro amici rimasti, che vedo un paio di volte all’anno, ai quali non riesco a dire di no: “Nemo, Toni, a magnar ‘na feta de polenta e on bicer de vin” (siamo veneti!). E andiamo all’osteria, di allora per caso ancora esistente, anche se un po’ rinnovata.

Alla televisione, a chi mi ha cercato dopo la Messa in Duomo a Milano, sono solo riuscito a dire: “Spero nasca presto qualche altro come Giorgio, perché di gente così il Padreterno ne fa poca e il mondo ne avrebbe tanto bisogno. Saper mettere insieme: tecnica, strategia, aziendalità avanzatissima, sport, onestà, solidarietà, amicizia e semplicità, è certamente dotazione di pochi".


Ricordo volentieri gli incontri nei periodi di Natale da Colnago, le giornate di Bormio, nel palazzetto dello sport, la biciclettata sullo Stelvio, e la cena con tutti, grandi e meno grandi, che donna Adriana sapeva organizzare egregiamente e nella quale c’era sempre “un regalo per i ragazzi di Exodus”. Purtroppo devo metterli vicini agli incontri svolti, quando lui, nonostante la sua malattia, arrivava camminando faticosamenteappoggiato alle attrezzature ortopediche, e che ciò nonostante si fermava sorridendomi salutava e come sempre mi domandava “come andava la mia baracca…” Quell’abbraccio…!

Altro aneddoto: l’amicizia è stata tale, che all’invito della partita Sassuolo-Inter, non sono stato capace di non andare dovendo pure tifare per lui. 

Ho ricordato cose belle, poche, appena sufficienti per manifestare chi fosse per me Giorgio e per aggiungere il dolore che mi ha colto, quando celebrando la Messa, dal presbiterio del Duomo ho visto rannicchiata e distrutta Adriana e soprattutto quando al bacio della pace mentre tentavo di accarezzare il suo volto, ridotto solo a due occhi più vivi di sempre ma “sepolti nelle lacrime” ebbe la forza di sussurrarmi “Scusami… non ce l’ho fatta a chiamarti”. Avere un amico in meno nei tempi di profonda carestia umanitaria, raddoppia la nostalgia della perdita e fa riemergere, in ciascuno di noi, il bisogno di una società più pulita, più vera, più sensibile, più sportiva e più “vivibile”.

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